mercoledì 3 dicembre 2008

SABATO 6 DICEMBRE APPUNTAMENTO PER NON DIMENTICARE


Dalla fine della seconda guerra mondiale, più di centomila uomini, donne e ragazzi, sono morti sul lavoro nel nostro Paese: un numero impressionante che supera di gran lunga, le perdite americane nella guerra nel Vietnam. Si è calcolato che, in un’ora di lavoro, avvengono circa 360 incidenti. Sono i cosiddetti “omicidi bianchi”, che non sempre possono essere imputati alla fatalità, ma sono riconducibili a cause ben precise: la carenza o l’inosservanza di norme, che vincolano le imprese pubbliche e private, a prevenire la possibilità d’incidente per i loro dipendenti.
Nelle aree economiche più ricche del nostro Paese, nel Settentrione in particolare, vi è ancora un’alta incidenza d’infortuni e di morti sul lavoro:basti pensare che nella sola Lombardia, in un anno, sono stati calcolati più di 135mila incidenti sul lavoro (oltre 45mila nel capoluogo), in maggioranza avvenuti nei settori edili e cantieristici. Discendendo lo stivale, la situazione cambia di poco, sia per il numero di lavoratori infortunati, sia per i settori più a rischio, sia, ancora per le cause e le responsabilità.
Solo gli incidenti di lavoro che, come quelli della Thyssen-Krupp che si sono trasformati in tragedia, restano scolpiti nella memoria collettiva, ma ogni giorno muore almeno un uomo impegnato nell’esercizio delle sue mansioni. In genere, nel Settentrione,si muore per lavoro soprattutto a seguito d’incidente su automezzo, nei settori dell’industria e dell’edilizia; mentre, nel Meridione, oltre che nell’edilizia, si muore soprattutto nell’agricoltura, generalmente per incidenti con una motrice o un trattore.
Adesso si comprende meglio il contenuto drammatico dell’espressione “omicidi bianchi”: si tratta, è bene ripetersi,di persone uccise, nei luoghi di lavoro, dagli incidenti, dalle malattie professionali, da una sicurezza che non esiste o, se c’è, resta comunque insufficiente.
Sono uomini, donne e molte volte anche ragazzi.
Numerosi sono anche i casi di lavoratori che, a seguito d’incidenti, si sono ritrovati menomati o con ridotte capacità lavorative: privi di un occhio, con i timpani rotti dal rumore incessante delle macchine, avvelenati per l’inalazione di prodotti tossici usati durante la lavorazione, con le mani tagliate dagli arnesi utilizzati, con artrosi dovute agli sforzi sostenuti, con ustioni provocate dal contratto con varie fonti di calore, paralizzati agli arti. Allora si comprende come, ogni volta che i “mass-media” riportano la notizia di una fuga di gas o di qualcosa che è avvenuto durante la costruzione di un palazzo, di un ponte, di una strada, naturalmente si pensi ad un altro drammatico infortunio o morte sul lavoro. Si capisce così l’esigenza di rendere quanto prima esecutive, nel nostro Paese, le norme previste dall’Unione Europea in materia di sicurezza del lavoro: ogni ora, ogni giorno che passa può essere fatale per la vita di un lavoratore.

Fonte: Orizzonte Europa

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